
venerdì 27 novembre 2015
Leguizamòn, Màrquez e le danze argentine

giovedì 26 novembre 2015
La "fragile geografia" di Rafael Anton Irisarri

"A fragile geography" pesca nel grigiore subliminale della nostra società, ricca di imperfezioni e congiure, di assurde configurazioni di potere, succube di una triste accettazione da civiltà incompleta, difettosa. Seppur dedicato agli ambienti e alle faccende statunitensi, A fragile geography accomuna i problemi degli occidentali in un fascio di droni che si caratterizza per la loro espressività poiché al servizio del tema: una bruciante oscurità esistenziale domina la bellissima "Reprisal", il senso di impotenza e quasi di misericordia influenza "Empire Systems", il dramma e la voglia di liberazione si insinua in "Persistence". Concentrandosi sulla capacità emotiva del suono dronistico e su un ruvido trascinamento di esso, Irisarri fa dimenticare i pulviscoli di sperimentazione che spesso si incontrano in questo settore della musica, poiché punta dritto allo scopo senza vie estreme di collegamento. In "Secretly wishing for rain", in mezzo ad un roboante e deturpato clima sonoro, ci sembra scorgere qualcuno che sta pizzicando un violoncello (Julia Kent) intriso nella rassegnazione. Non ci sono evoluzioni tecniche particolarmente attraenti da carpire in "A fragile geography", né addensamenti nostalgici di sorta, ma solo un insistente concentrato di un sentimento affranto di constatazione della realtà, che nella storia musicale ha avuto modo di evidenziarsi in varie possibilità: oggi si esprime con le impostazioni a forma di loops e di droni rumorosi di computers equipaggiati. Siamo ovunque proiettati nelle semplificazioni di pensiero dei films di Herzog in cui è palese la ricerca di una verità dei fatti attraverso le immagini, una sorta di nuovo realismo comandato dalla funzione visiva; tuttavia non mi sembra che ci siano le condizioni per superare l'empasse inflattiva che da qualche anno circola nel settore, né tantomeno attribuire qualità trascendentali all'operato di Irisarri: è molto più saggio interpretarlo come un'operazione che tende a smascherare il pensiero del suo autore, del suo intimo, con risultati che sono potenzialmente migliorabili così come espresso da Anthony D'amico sul web magazine Brainwashed; d'altronde se pensiamo alla carriera di molti musicisti strutturati allo stesso modo di Irisarri notiamo delle similitudini nel modo con cui sono stati coniugati gli obiettivi di certificare uno stadio di intersezione tra gli elementi di lavoro a disposizione e il subdolo raggiungimento di un'epica crittografia della coscienza: se ad esempio prendiamo in esame il lavoro di Lawrence English, non possiamo fare a meno di concludere che dopo la maturità raggiunta con Kiri no Oto, non sia stato più in grado di ripetersi a quei livelli usando il drone*.
* si prescinde naturalmente dalla pura attività discografica riversata nei field recordings e negli esperimenti di laboratorio che inficiavano le ottime prove di Studies for Stradbroke e For/Not for John Cage.
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domenica 22 novembre 2015
Poche note sul jazz italiano: trasgressioni di un'epoca

Quello che da tempo succede nella libera improvvisazione appartiene a quei fenomeni musicali dibattuti: imbastito sulle ceneri di una filosofia quasi scientifica, il trasgredire in questo settore è stato considerato come un'aberrante fisiologia della musica, talvolta contenitore di stridori insopportabili e mancanti di qualsiasi anima; sullo sfondo di tale concetto giace quella parte filosofica che ha studiato la musica ricavandone materia solo dal cuore e dai suoi inspiegabili pompaggi emotivi; per la mente non era (e non è) riservato alcuno spazio. Ma la trasgressione di cui si parla andrebbe affrontata nella riorganizzazione dei termini dei punti di equilibrio delle teorie, lasciando finalmente un posto sempre più importante alla creazione come conseguenza della formazione e della progettualità: in un momento in cui le intuizioni nella musica sembrano aver finito di produrre processi finiti e visibili di trasgressione, se ne rivelano alcune che meritano un livello di approfondimento di tutt'altra natura. E' qualcosa che spaventa, ma è prospettiva terribilmente affascinante e futuristica.

Tra i migliori pianisti in circolazione, Guazzaloca ha il dono di saper abbattere il muro dell'incomprensione della free improvisation in un modo così dannatamente semplice: si boicotta qualunque asfissia comunicativa per entrare in un mondo di sensazioni che parcheggiano nella zona del sentimentalismo aurale.


"Unissued '91-'92" raccoglie le registrazioni fatte al Barigozzi di Milano in quegli anni e propone una ricca miscela di musica alternativa frutto della messa in gioco di una serie di eventi che catalizzavano il mondo della "cultura" di quegli anni: le parodie dissacranti degli Squallor, la migliore portabilità del live electronics, i primi giochi televisivi a budget milionari o le trasmissioni di jazz delle radio private erano magnifici conviviali di creatività da utilizzare in progetti anacronistici perché profusi in nicchie come quelle del free jazz e della sperimentazione. C'è un preciso canovaccio nelle esibizioni dei Musimprop che vede Massimo Falascone fare la parte di un Akira Sakata italiano, sempre in tonalità aspra e lacerante, di contro ad un gruppo che eleva a bandiera di vascello le istanze della tecnologia: voci e spezzoni radiofonici o televisivi pre-registrati si incontravano con un live electronics combinato, in cui i musicisti avevano imparato quei tre o quattro trucchi vincenti per dare forma alla loro improvvisazione. Sembra che queste registrazioni non trovassero un'etichetta disponibile alla loro pubblicazione permanente e l'oblio sarebbe continuato se Stefano Giust della Setola di Maiale non le avesse casualmente raccolte e prese in considerazione con la sua lente d'ingrandimento critica, ma vi posso garantire che esse anche a distanza di tempo reggono benissimo l'ascolto, direi che lo rendono quasi confortevole: in quelle operazioni c'è molta più umanità di quanto il progetto potesse far pensare, sono veicoli perfetti di ascolto alternativo per le serate invernali, un turbinio di volontà che mascherava un'idea precisa e intelligente da sviluppare.
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sabato 21 novembre 2015
Emanuele Casale by Mdi Ensemble

Con un'operazione coraggiosa la Stradivarius pubblica il primo volume di una nuova collana musicale dedicata in maniera specifica alla musica contemporanea italiana: "Classici di oggi" si pone come una serie necessaria per diffondere qualità artistiche che restano sottaciute in un settore di cui ho ampiamente illustrato in passato le difficoltà, soprattutto nel nostro paese. In questo primo intervento, sostenuta dalla collaborazione della SIAE e dalle usuali istituzioni che sono a pieno titolo nel settore (l'associazione Milano Musica, Casa Ricordi, Cavalli Musica), il pensiero è andato in favore del compositore siciliano Emanuele Casale, che peraltro aveva già pubblicato per la Stradivarius una sua monografia di chamber music. Questa volta la produzione camerale viene affidata all'interpretazione del MDI Ensemble diretto da Yoichi Sugiyama e consta di 5 composizioni composte tra il 2003 e il 2014 che nelle intenzioni del compositore si dividono tra ricerca del ludico e della meditazione, quest'ultimo un aspetto che ricorre in Esistere Lago, nulla e un tempo.
Di Casale da più parti se ne invoca la funzione da sound designer come equivalente a quella degli scultori del suono elettronici: in verità una caratteristica che le colonie basse della musica rivendicano come propria (l'appropriazione scaturirebbe dalla realizzazione sul campo effettuata tramite le congetture elettroniche disponibili erga omnes) va mediata con il tipo di frequentazione formativa svolta dal compositore siciliano, una generazione di flusso musicale concentrata sul linguaggio e che non investe solo l'elettronica. Riabusando della frammentazione degli strumenti Casale ha cercato di imporre il suo pensiero, che è quello di rappresentare la dialettica della vita odierna fatta di penose sovrapposizioni di voci e rumori. In questo percorso gli strumenti devono essere i protagonisti di questa criptata teatralità emulando le azioni verbali, il linguaggio ironico (uno spiccato non sense) e la raggiera di acidità che ne deriva; non è un caso che Casale abbia lavorato alla talk-opera di Conversazioni con Chomsky per rappresentare le plurime vie di comunicazione sulle quali l'umanità dovrebbe interrogarsi con più frequenza (vedi qui un estratto).
L'elettronica presente in "11", in "5" o in "Questo è un gruppo e pace" non invade mai il campo di applicazione della composizione, ma lo accompagna generando le stesse sensazioni: è un costrutto omogeneo dichiaratamente figlio delle nuove espressioni del mondo digitale che non si preoccupano più di creare umanesimi sonori non più esistenti, languendo nelle asperità contemporanee e credendo che queste siano il passaporto per la musica del futuro: Casale giustamente evita di parlare di decadenza e si proietta in un "..sound tendenzialmente geometrico, rettilineo, assimilabile a figure digitali discretizzate..."; è un pò come mediare lo Sciarrino dei linguaggi impossibili e l'inarmonica curatela dei sound designers dei professionisti delle "non accademie". Le parti strumentali accuratamente composte restituiscono anche la bravura dei partecipanti, la loro capacità di riuscire a filtrare efficacemente quel conflitto emotivo provocato dallo scontro tra concretismi di origine diversa (strumentale e digitale) e, in alcune pause di bassa dinamica dei suoni, sostengono il secondo tema proposto dal compositore, ossia quella trance meditativa che potrebbe simulare l'estasi provocata dalle buone parole di un libro di un autore letterario o la contemplazione suscitata da un paesaggio naturale. Sono tutti elementi che propendono per la conclamazione di una scrittura moderna a tutti i costi ma che non disdegna lo scopo di ricreare le condizioni per riaccendere la scintilla stilistica della musica italiana dal rinascimento al classicismo, così come succede nelle evoluzioni degli archi ascoltate in "7", un quartetto che si presenta speculare alle stagioni di Vivaldi oppure in alcune parti di "Esistere Lago, nulla e un tempo" che libera potenziali tipicamente rossiniani. In Europa le idee profuse da Casale si ritrovano solo in centri nevralgici della musica contemporanea, partendo dalle rinnovate multimedialità europee del teatro di Van der Aa o di Simon Steen-Andersen e finendo agli intrighi sonori di molta composizione viennese delle nuove generazioni; è un unicum di musica elettroacustica, finzione teatrale e matrici musicali apparentemente asemantiche, a cui si deve prestare assolutamente il dovuto riguardo.
venerdì 20 novembre 2015
Frantz Loriot tra pensieri orchestrali e viole stridenti

Loriot, dal canto suo, è reduce anche di una registrazione in solo viola che nel panorama jazzistico è cosa rarissima: disponibile per l'intero ascolto nel sito dell'etichetta Neither/Nor Records, "Reflections on an introspective path" alza il velo su alcune tecniche estese, rinforzandole di probabili significati: lo scopo di Loriot è quello di raggiungere nei suoni risultati simili alle modificazioni ottenute con l'elettronica, lavorando però solo sullo strumento (vedi qui una dimostrazione degli assunti in una sua serie di improvvisazioni): "Confluences" regala attimi impensabili per uno strumento nato in una conclamata classicità, segnalando come lo stesso possa allontanarsi, attraverso un uso eclettico dell'archetto e delle preparazioni manuali, da quel sentimento tipico che l'ha contraddistinto e allo stesso tempo attanagliato nei secoli che corrisponde all'aggettivo austero. Le pressanti rappresentazioni di Loriot giocano sul particolare, sui microtoni, sull'ascolto armonico, per esprimere l'infausto procedere dei nostri tempi con stati divisi tra l'ebbrezza e l'esagerazione nelle tonalità acustiche, in una maniera che non guasta affatto il gusto intelligente della scoperta.
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Le toniche estrinseca ed intrinseca dell'intervallo

Anche la musica è governata da una forza gravitazionale incoercibile che interagisce con la percezione umana del suono. Questa forza agisce in particolare sugli intervalli ma in maniera diversa a seconda che l’intervallo lo consideriamo nel contesto di una scala diatonica e quindi gioco forza nell’ambito di una tonalità (tonica estrinseca dell’intervallo) oppure fine a se stesso e cioè avulso da qualsiasi concezione di carattere tonale e quindi non rientrante in un concetto diatonico (tonica intrinseca dell’intervallo).
TONICA ESTRINSECA DELL’INTERVALLO:
Consideriamo la scala cromatica di C, cioè la scala che ha C per centro tonale e che procede per semitoni fino all’altro C. D’altronde tutte le scale diatoniche alterate e non alterate sono estratte dalla scala cromatica quindi non ha senso considerarle una per una.
Gli intervalli C/C# - C/D – C/D# - C/E – C/F - C/F# - C/G – C/G# - C/A – C/A# - C/B hanno la loro tonica in C perché subiscono l’attrazione del centro tonale che è ovviamente C e quindi tendono a risolvere in C
TONICA INTRINSECA ALL’INTERVALLO
Qualsiasi intervallo in aggiunta alla sua attrazione verso il centro tonale possiede una sua “tonica intrinseca” verso la quale l’altra nota dell’intervallo tende a risolvere. Questo concetto vale soprattutto nell’ambito della armonia intervallare nella quale non sono considerate le scale diatoniche.
Analizzo i vari intervalli:
Minor 2nd – tonica superiore
Major 2nd – tonica inferiore
Minor 3rd - tonica superiore
Major 3rd – tonica inferiore
Perfect 4th – tonica superiore
Augmented 4th – tonica inferiore
Perfect 5th – tonica inferiore
Augmented 5th – tonica superiore
Major 6th – tonica inferiore
Minor 7th – tonica superiore
Major 7th – tonica inferiore
L’utilità di tutto ciò nell’ambito della composizione di una line intervallare sta nel fatto che la nota verso la quale l’intervallo tende a risolvere può diventare una ancora tonale e cioè un centro tonale provvisorio dal quale parte una scala diatonica e quindi senza escludere nella composizione intervallare la presenza di isole diatoniche tonali oppure modali.
Quindi la tonalità è flessibile ed in continuo flusso con temporanei punti di tonalità. La tonalità intesa in questo modo non richiede più un ordine terziario diatonico della armonizzazione, non è centrata necessariamente su una sola tonica centrale per la intera composizione. Questo movimento armonico intervallare con creazione di centri tonali provvisori ha più potenza tonale degli insignificanti assortimenti di note che vengono ascoltati di routine, questi centri tonali che possono includere tutte le dodici note in rotazione e non hanno necessità di risolvere.
Giuseppe Perna
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Giuseppe Perna's page
giovedì 19 novembre 2015
Invito alla composizione sulla mia "Composizione intervallare n. 1"
Ovviamente non credo che sia indicato l'uso di un pianoforte perchè i suoni si sovrappongono, ma un qualsiasi altro strumento musicale che abbia quindi un'altra timbrica va benissimo.
In particolare il mio consiglio è:
- eseguire una linea melodica monofonica sovrapposta
- utilizzare gli intervalli senza pensare assolutamente ad una scala diatonica normale oppure alterata né tantomeno alla armonia sottostante.
Vi elenco gli intervalli che ho utilizzato nel brano e che voi dovrete utilizzare.
- semitono
- tono
- terza minore
- terza maggiore
Potete costruire le linee melodiche utilizzando in maniera randomizzata questi intervalli cercando ovviamente di dare un senso musicale alla linea melodica. L'utilizzo degli intervalli indicati è a vostro piacimento senza alcuna connessione con concetti tipo "tonalità" o "modalità".
Quale è la logica di tutto ciò?
La musica viene recepita e piace in funzione del fatto che esistono delle ripetizioni, ad esempio la ripetizione di una frase musicale anche su diversi livelli scalari o accordale, bene, ripetendo gli intervalli l'ascoltatore si abitua ad essi, ma non subito, e li concepisce come una "ripetizione" per cui li gradisce.
Buon lavoro e.......fatemi sapere.
Giuseppe Perna
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Giuseppe Perna's page
martedì 17 novembre 2015
Robin Fox tra mitologia e nuovo rumore


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Håkon Thelin’s Folk Music for Double Bass
Any
musical instrument represents a certain set of possibilities. Constrained by
the instrument’s particular characteristics—both as a unique individual and as
a member of a class of instruments—these possibilities offer a range of
potential and of compulsion. The potential lies in the palette of sounds and
gestures the instrument affords by virtue of its physical properties—its scale,
range, the resonance of the materials it’s made of, and the like. At the same
time, these same properties condition what can be done and compel the performer
to choose within a necessarily bounded set of possibilities and to accept a
certain finitude of action. And it is this convergence of open potential and
finite possibility that forms the material horizon within which the performer’s
own specific voice is constituted.
All of
this is to introduce Norwegian double bassist Håkon Thelin’s notion of what he
terms a folk music for the double bass. The idea is to develop a musical
language for the instrument that explores and reflects the instrument’s
particular features, drawing them out into an expanded field of sounds. Thelin
credits the Italian virtuoso double bassist Stefano Scodanibbio (1956-2012) with
having discovered and surveyed much of this field, specifically by developing a
technique that integrated extensive use of harmonics into the construction of
phrases and harmonies. (An excellent compendium of Scodanibbio’s weaving
together of harmonics and other extended and conventional techniques can be
found in Oltracuidansa, one of the last recordings of his released before his
death.)
Appropriately, Scodanibbio is a significant presence on Thelin’s new Atterklang
recording Folk, being represented by two of Folk’s six instrumental pieces.
(The other four are spoken word or sung pieces consisting of poems or brief
prose statements.) These two pieces, Sequenza XIVb, Scodanibbio’s adaptation
for double bass of Luciano Berio’s Sequenza XIV for cello, and Scodanibbio’s
own composition Geografia amorosa, exploit the double bass’s scale and mass by
making use of various percussive techniques and two-handed pizzicato. Thelin’s
interpretations of these works convey a lively, almost nervous energy and reveal
a deep grasp of the technical and above all musical possibilities they offer.
These are fine performances which, unless I’m mistaken, were previously issued
on Thelin’s 2014 Atterklang CD A Stefano Scodanibbio.
Of the
remaining instrumental tracks, one is by Norwegian composer Lars-Petter Hagen
(b. 1975) and three are by Thelin himself. Hagen’s contribution is the 2007
composition Hymn, originally written for Swedish-born Norwegian double bassist
Dan Styffe. As its title suggests, it is a stately-paced work whose melodies
and countermelodies, played on two strings sounding simultaneously, unfold with
a deliberate and sometimes discordant gravitas. Thelin’s own compositions, all
of which were composed in 2012, were influenced by flamenco music and reflect
some of the rhythms and modes associated with that tradition. El bajo cantaor
employs leaps from the rich, dark lower register into shimmering high harmonics
and makes generous use of a lyricism offset by clashing minor seconds. Melodía,
whose lines allude to the Phrygian mode, is the most overtly flamenco of the
trio, its chordal sequences dressed in flamenco rhythms. Tablón-Táctil-Pulsar-Sonar
ably brings together the influences of both Scodanibbio and flamenco with its
plucked harmonics and rapid pizzicato work.
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sabato 14 novembre 2015
Il violino contemporaneo

Il bilanciamento mistico delle risonanze acustiche così come vissuto nell'esperienza orientale di Scelsi diede luogo agli splendidi "Anahit" (per violino e 18 strumenti) e al tris L'ame ailee/Ouverte/Arc-en-ciel" al raddoppio violinistico, composti tra il '65 e il '73; in ossequio ad una riflessione compositiva unanime rivolta alla costruzione di un moderno suono che non dimenticasse il passato, Maderna scrisse Widmung nel '67 ed un bellissimo Concerto per violino nel '69; Berio fissò nella Sequenza VIII (1975), riesumata anche nel Corale qualche anno più tardi, un nuovo standard di comprensione del violino che raccoglieva una gamma impressionante di tecniche estese dotate di anima semantica; Xenakis, invece raccogliendo anche istinti elettroacustici (Risset soprattutto), si inserì nella composizione violinistica esaltando il ruolo dei glissandi con pezzi come Mikka (violino solo del '71), Mikkas ('76), Dikhtas (per 2 violini nel '79) e il mastodontico affresco di Dox Orkh (un concerto per violino per 89 musicisti); Cage, nel periodo delle collaborazioni teatrali, conobbe il violinista Paul Zukofsky, un musicista attratto dai progressi e dagli sviluppi allo strumento, che lo stimolò nel trascrivere per il violino la Cheap imitation (1977), e lo assistette negli impossibili Freeman Etudes (la cui velocità di esecuzione spaventava qualsiasi eccelso violinista, tranne Irvine Arditti che invece addirittura riuscì a dimostrare che avrebbe potuto suonare quegli studi anche a velocità superiori); Feldman, da parte sua, scrisse molto per il violino in un periodo in cui era completamente maturato quel suo senso atemporale della composizione, frutto di accorgimenti trovati su impianti ritmici e melodici e sulle dinamiche: si può partire da Spring of Chosroes (violino e piano del 1977) e poi proseguire per il suo Concerto per violino del '79 di 50 minuti, per il solo di For Aaron Copland dell'81 ed infine per l'abbinamento di oltre due ore con lo string quartet dell'85. Appendici della propria ricerca estetica furono le composizioni di Sciarrino dei Sei Capricci ('75-'76 per solo violino) e quelle di Lachenmann dei Zwei Studien (1974), concretismi della musica che aprirono una severa prospettiva allo strumento, che, in verità, ebbe modo di essere illustrata ancora meglio in anni successivi (si pensi alla ricercatezza dei suoni di Le Stagioni Artificiali per violino ed ensemble nel 2006 di Sciarrino e alla materia mineralizzata di Toccatina, uno studio per violino del 1986 di Lachenmann).
Così come le "Varianti" di Nono aprivano un lussuoso periodo della musica per violino, così la sua La lontananza nostalgica utopica futura del 1988 chiuse il cerchio: lo splendido pezzo per violino in movimento sui 6 leggii e 8 tracce diffuse liberamente da un regista del suono ove convergono le improvvisazioni mistiche di Gidon Kremer e alcuni rumori (sedie, parole, porte che si sbattono, etc. rielaborate dal compositore), rappresenta infatti uno degli ineguagliabili punti di arrivo di uno studio lungo e ripensato sull'importanza dell'integrazione della parte registrata con quella acustica. Era un risultato concettualmente davvero notevole se rapportato ai semplicistici mezzi utilizzati dai minimalisti americani che, in mezzo al guado della ripetizione, facevano emergere la significatività emotiva del Violin Phase di Reich, un approdo che potenzia un momento storico in cui c'è bisogno di un punto di incontro tra una tonalità raggiunta in maniera casuale e l'avanguardia prestata alla soggettività.
Gli anni novanta per molti costituiscono un avviluppamento non necessario nel violino: di fronte alle impressionanti partiture di autori come Ferneyhough che nel '92 scriveva "Terrain", c'è chi invece proponeva un ritorno al violino tematico o comunque virava verso una soggettività della partitura che sembrava non essere ben evidenziata: Boulez firma nel '91 il suo primo Anthemes, mentre Carter scrive lo score seriale per omaggiare alcuni suoi beniamini musicali nelle Laudes; ma quello che può sembrare un vicolo cieco per il violino e la sua evoluzione, viene risvegliato in maniera profonda dalla composizione elettroacustica: il lavoro graduale svolto tra l'Europa e l'America nei centri specializzati per l'elettronica trova nei novanta il suo naturale sbocco nelle nuove "Variants" di Rissett (per violino e signal processing, 1994), che da il cambio a Nono, scandendo la maturità di una pratica che può dare origine ad un nuovo approccio sullo strumento: si impongono nuove considerazioni di sorta che vedono il violino entrare in una fase funzionale, non più basata solo sulle proprie caratteristiche morfologiche; la psicologia che investe il Gerard Pape compositore di Le Fleuve du desir IV (per 8 violini pre-registrati), nonché i venti minuti dell'Anthemes 2 di Boulez (in possesso di qualità spettrali e spaziali più sofisticate rispetto all'Anthemes 1 acustico) sono le migliori manifestazioni di un rinnovato interesse sulla musica elettroacustica dove il violino gioca un ruolo importante; per quella acustica le migliori idee vengono ancora da Guerrero, che sulle orme di Fibonacci e dei frattali compone Zayin IV ('95, per solo violino).
Si affaccia la composizione assistita ed una delle espressioni più note nella composizione con il computer è la giapponese Mari Kimura, che un raggio d'azione ampio si concentra sulle interazioni più o meno complete della scrittura violinistica con il mezzo digitale: non si tratta solo di processing, ma anche di elettronica di "scambio" fino ad arrivare ad un asettico interplay con la macchina informatica, al pari di un robot (vedi il suo cd misto tra composizioni proprie ed altrui "Polytopia").
E' in questa grande contrapposizione che oggi vive la composizione contemporanea al violino: da una parte si tenta di costruire una struttura irta di difficoltà per garantirle una sopravvivenza ed in un certo senso si dà continuità alla massima di Cage per i suoi Freeman Etudes, costruita per rappresentare l'impossibilità del mondo di risolvere i suoi problemi politici e sociali (quasi una profezia in un momento come quello vissuto dai noi europei oggi); dall'altra le nuove disponibilità dell'elettronica spingono per una sovradimensionamento delle caratteristiche sonore dello strumento, piantando però qualsiasi discussione sulla valenza virtuosa della scrittura compositiva.
giovedì 12 novembre 2015
Thurston Moore nei meandri sonici di Chicago

La parallela carriera solistica di Moore, sviluppata un tantino in ritardo rispetto all'esperienza Sonic Youth, lo ha visto da sempre condiviso tra un personale approccio al rock (molto più sopravvalutato di quello che si possa pensare leggendo la stampa specializzata) e percorsi stranianti basati sulle orme della libertà di espressione più cacofonica e sperimentale; questa sua seconda propensione fu molto ben congegnata nella collaborazione con il batterista Tom Surgal ed il percussionista William Winant in tre episodi probabilmente fondamentali per l'apertura mentale dell'artista: "Klangfarbenmelodie...and the colorist strikes primitiv", "Piece for Jetsun Dolma" e più tardi "Lost to the city/Noise to nowhere", lo proiettarono nell'olimpo dei chitarristi più evoluti della Terra grazie ad uno stile convulso ed aperto al parossismo; furono operazioni che suscitarono addirittura l'interesse di Derek Bailey e Nels Cline (che incise con lui un notevolissimo Pillow Wand nel '97). Da quel momento Moore è entrato in un circolo vizioso in cui non restava nient'altro che andare in avanscoperta e "dimostrare", talvolta però con canovacci che diventavano risaputi (con molta retorica i progetti, effettuati con nomi anche altisonanti, non facevano altro che rinverdire le relazioni sul noise senza ulteriori approfondimenti).
Per ciò che concerne le prove in solo raccolte in una pubblicazione discografica ed escludendo naturalmente il solismo senza colore della parte rock del musicista (il folk anonimo di "Demolished thoughts" o di "The best day" non sono finanche prove solistiche!), dobbiamo rivolgerci a quello che Moore ha intrapreso solo qualche anno fa, quando ha pubblicato "Suicide notes for acoustic guitar", un lavoro in cui la distorsione veniva progettata nei territori della libera improvvisazione, e poi, i ventiquattro minuti senza titolo della serie olandese di Kapotte Muziek e un mediocre tributo alla chitarra 12 corde a Jack Rose ("12-String meditations for Jack Rose"); sarà forse per il fatto che Moore si sia quasi sempre esibito in compagnia, l'attenzione dei media si è concentrata poco sull'analisi del chitarrista senza orpelli aggiuntivi se non quelli della sua chitarra e dei suoi aggeggi accessori: è quello che finalmente succede in Sonic Street Chicago, un live effettuato al Rubloff Auditorium at the Art Institute di Chicago nel marzo del 2014. Non so se si possa parlare di piena maturità dell'artista, soprattutto in relazione ad una prospettiva a ritroso di oltre vent'anni, ma sta di fatto che in questa lunga suite di un'ora di musica emerge un potenziale artistico puro, che scava in fondo all'inventiva cara ai percorsi intricati e in definitiva oscuri dell'artista; Sonic Street Chicago filtra l'influenza feticista dei Sonic Youth, dà spazio ad una più congegnata operazione di improvvisazione libera imperniata sul rumore e sulla contrapposizione acustica, senza legami di tempo e costruzione, con una rinnovata capacità subliminale affidata alla musica che non è conseguenza solo dell'intento di riempire la pellicola di Street del regista James Nares: pur non essendo un cittadino di Chicago, ascoltando la guida di Moore ci si può rendere conto di quante forze agiscano al suo interno: angoli reconditi invasi dalla violenza e dal mistero, quartieri orientali, aree di intensa attività industriale ed oasi di pace temporanea, entrano tutti in un microcosmo artistico che è uno specchio perfetto di espressione astratta della chitarra elettrica.
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mercoledì 11 novembre 2015
Le ulteriori evoluzioni di Christian Wallumrod

"Untitles arpeggios and pulses" è un'altra combinazione progettuale che accompagna le scarne evoluzioni del pianoforte dinanzi alla Trondheim Jazz Orchestra piena di giovani promesse dello stile nordico: qui entriamo in una vera e propria free form telecomandata da Wallumrod che fissa un patterns ripetuto di accordi (gli Untitles arpeggios) che potrebbe emotivamente nascondersi nelle similitudini dei richiami sonori di "Incontri ravvicinati del terzo tipo" (un messaggio musicale che non ha le pretese di riconciliarsi con gli alieni ma con i terreni e per tale via è ugualmente gioioso), interlacciandosi poi al dialogo libero ed imprevedibile dei partecipanti, dominato dalla creatività disposta di fianco alle amplificazioni, alle estensioni e alle spocchiose evoluzioni di giochi elettronici (la parte "and pulses"): è un'orchestra che ad un certo punto perde i connotati di qualsiasi orchestra jazzistica o classica per via di una decostruzione sonora che lavora allo stesso modo dell'officina musicale di Experimentum Mundi di Battistelli.
In una edizione limitata in LP a 300 copie, il terzo progetto per Hubro con il fratello Fredrik dal nome Brutter, si riversa invece nell'elettronica delle drum machine, dei suoni percussivi da sintetizzatore supervisionati da una batteria, anche qui cercando combinazioni inusuali: con il pianoforte messo da parte l'esperimento è quello di coniugare risposte percussive, un modo per tentare di avvicinare le recenti cognizioni classiche dell'energia e del parossismo musicale sugli strumenti relativi.
sabato 7 novembre 2015
Gisbert Watty e la new music for classical guitar

Un altro chitarrista del lotto risiede in Italia ed è Gisbert Watty: nel 2013 ha pubblicato un ottimo cd per la ArsPublica, un'etichetta discografica fondata da due compositori italiani, Riccardo Vaglini e Andrea Nicoli in cui è possibile tracciare non solo un quadro della bravura del chitarrista di origini tedesche ma anche un quadro delle possibili ed ulteriori possibilità creative allo strumento. "Venus' song - new music for guitar vol. 1" accoglie composizioni realmente notevoli di compositori alquanto sconosciuti, presentando come in un volume da camera la chitarra ora in solo, più spesso in duetto con un pianoforte (il pianista è il fratello Siegmund) o in trio con flauto e clarinetto (il piccolo ensemble Trio Altrove 1.3 con Luciano Tristaino e Marcello Bonacchelli), quando non è l'elettronica a subentrare. Si scovano validissimi punti di approdo e ricercati lapilli di sensibilità nel duo chitarra-piano di Stoa del compositore Thomas Bottger, nella combinazione elettroacustica di "Gli echi chiamano" di Andrea Nicoli (una denuncia in chiave psicologica degli orrori di Sarajevo), nonché negli undici minuti di "fan-fair" dell'australiano Thomas Reiner, pervasi dall'abbinamento con elettronica al limite berlinese. Tutti pensieri che indicano nuove vie di affermazioni per il futuro dello strumento. Il caro amico Andrea Aguzzi, redattore del blog specializzato Chitarra e Dintorni, gli ha dedicato un ampio spazio sul suo ultimo libro "Chitarre visionarie - Conversazioni con chitarristi alternativi" e quell'intervista è decisiva per comprendere il ruolo che Watty ha e vuole rivestire nell'attuale panorama contemporaneo della chitarra classica, anche di fronte all'incalzante invasione della concorrente composizione per chitarra elettrica.
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Luca Sisera Roofer: Prospect

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