
Tra coloro a cui è stato richiesto un pezzo per Risuonanze ve ne sono alcuni che brillano per lucentezza di intenti; in questa sede mi preme sottolineare la figura del compositore Gabrio Taglietti (1955), che può essere utilmente ascoltato nella sua Cinque Microdrammi, donata all'interpretazione dei violinisti Stefano Furini e Verena Rojc (vedi qui). Può essere un ottimo inizio per cominciare ad apprezzare le istanze compositive di un autore che ha impostato le sue riflessioni sulla validità della memoria del passato, così come da lui stesso ammesso. Nella sua aggiornata concezione, Taglietti si dimostra un valente decodificatore di forme conosciute sotto le varie denominazioni che la musica classica ha fornito nel tempo: capricci, danze, melodie, arie, melodrammi, etc., catturandone a modo proprio le essenze migliori, quel riverbero potente che la storia ci ha fornito. In occasione del coordinamento dei musicisti cremonesi per l'Orfeo di Monteverdi, Taglietti dichiarò una grande verità, quella che vede nella reinterpretazione un'operazione che deve evitare la "museificazione" dei capolavori lasciati in eredità nella musica e questo scopo viene raggiunto non tanto con manovre correttive devastanti ma lasciando che l'interpretazione preservi e faccia emergere in tutta la sua efficacia, l'energia e la bellezza comunicativa delle note: "...vedere in trasparenza come certi passaggi possono apparire anticipatori di ritmi novecenteschi, capire quanto di Bernstein, quanto di Berio, quanto dei Beatles (tre B?!) è già lì, in questo melodramma che a distanza di pochi anni dai primi esperimenti segna già un paradigma, un capolavoro assoluto con cui è impossibile non fare i conti...." (G. Taglietti dalle note scritte per il CremonaCantaOrfeo del 2017). Se scorrete la minimale pagina che Taglietti ha generosamente implementato in Soundcloud, troverete come, di concerto ad una struttura contemporanea, venga esaltato il "senso" logico della composizione, la verità della forma rappresentata.
Grazie al pianista Antonio Sardi de Letto, è stato possibile anche costruire un progetto specifico sulle idiomatiche invenzioni degli studi di pianoforte, un lavoro che ha coinvolto (sempre tramite Sardi de Letto) anche le similari sollecitazioni profuse dal compositore Gabriele Manca (1957); dopo gli studi di Debussy tutta la materia ha alzato il tiro in cerca di soluzioni nuove, anche se non si deve fare l'errore di pensare che gli studi siano stati l'unico mezzo pianistico per affrontarle; è bene sottolineare come la verifica esecutiva di Sardi de Letto sui due compositori italiani è confluita in un inebriante cd inciso per la Stradivarius R. nel 2009, a cui brevemente accenno.
"Studi per il XXI Secolo" raccoglie da una parte gli otto studi di Taglietti, posseduti da quello stupefacente senso di cui si parlava: c'è una potenza dei significati, una capacità immediata di accendere i lumi dell'immaginazione e della simulazione come risultato di una corrispondenza tra gesto musicale e oggetto della rappresentazione. Si va dall'evidenza sonora del gioco avvertita in Il gatto e il gomitolo alla particolare ironia di Soleà, che si adopera per imporre forme ancora più meccaniche del Ligeti degli Etudes for piano; si nota ancora nell'eccezionale lavoro svolto sul Capriccio: la volpe e l'uva, dove si crea uno spettacolare effetto di rimando acustico grazie a dei clusters perfettamente costruiti (quasi una replica di un tiro di schioppo) messi contro la sollecitazione di una estemporanea nota percossa in colpi multipli; oppure si nota nella finzione percussiva di Frenetico bianco, che scaturisce dal dialogo accordale profuso su zone distinte del piano, con dinamiche che pagano tributo ad una sorta di metamorfosi del movimento e alla disciplina dei doppi, tripli o multipli colpi dei percussionisti (i cosiddetti paradiddle); mentre resta molto personale e rispettosa la visuale ricavata da Catacombe (in memoria di Mussorgsky) in cui l'impianto pianistico si urta su poche note poste sui registri alti.

Il compito di questi compositori resta valido ed intatto, perché qui le varianti non suonano mai retoriche, lasciano dietro quella sana libertà di configurazione che le fa apparire naturali, cercando di direzionare un messaggio che sta nella rappresentazione di un'attualità musicale che scacci la forma tradizionale ma dia, al tempo stesso, un'idea musicale meno estrema dei sentimenti che albergano nell'intimità. Nelle parole di Taglietti, "..non una musica più "giusta": una musica più bella, più convincente...".
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